La rubrica #NotaTecnica di maggio 2025 ci porta nuovamente dietro le quinte, nei laboratori della sede di Sanremo del CREA Orticoltura e Florovivaismo, in compagnia di Marina Laura, biologa molecolare che ci ha raccontato di progetti e analisi fondamentali per l’attività di ricerca del Crea, tra attenzione alle piante storiche del territorio e sguardo puntato al futuro.

Da quanto tempo lavori al Crea?
«Da tanto: sono partita con la tesi di laurea, nel 2001, poi ho iniziato ad avere diverse tipologie di contratto finché non sono diventata nel 2019 ricercatore a tempo indeterminato. Ho seguito buona parte della sua storia, da quando ancora il Crea si chiamava Istituto Sperimentale per la Floricoltura!»
Su cos’era la tesi?
«Mi sono laureata con una tesi in scienze biologiche sull’ottenimento di embrioni di ciclamino, e poi ho un dottorato di ricerca in scienze agrarie e forestali sullo studio dell’anemone».
Di cosa ti occupi al Crea?
«Seguo la parte di biologia molecolare: in questi anni mi sono occupata di vari aspetti, dell’analisi dei geni per esempio, di quella dei trascrittomi [N.d.R.: la trascrizione degli RNA a partire dal genoma], dei marcatori molecolari di trasformazione genetica e ultimamente ho a che fare con una delle tecniche più innovative del momento, il genome editing».
Che cosa significa?
«Ho lavorato per esempio a un progetto, concluso qualche anno fa ma molto importante, che si chiamava Biotech, ed era dedicato al miglioramento delle colture grazie alle nuove tecniche di genome editing, allo scopo di ottenere piante migliorate. Mi sono concentrata in particolare sul basilico, ottenendo delle piante migliorate rispetto a fattori come la resistenza al principale patogeno del basilico, che è la Peronospora, causa di grossi danni. È stato possibile arrivare a questo risultato inattivando, in modo mirato, un piccolo gene che è nel basilico, e ottenendo così piante resistenti al patogeno».
Si vedono più provette che piante nel tuo lavoro…
«No proprio: le piante le vediamo perché partiamo da loro, sia in serra che nella parte di laboratorio, dove abbiamo le colture in vitro, importantissime. Poi è vero che a partire dalle piante le mie analisi si approfondiscono sempre di più e vanno, diciamo così, verso le provette, scendendo sempre più nel piccolo e arrivando a studiare il DNA e la funzione dei geni».
Come si svolge una giornata tipo in laboratorio?
«Si comincia cercando di impostare l’esperimento da fare. In questo momento per esempio sto preparando un substrato di coltura che mi serve proprio per piante di basilico, per rinnovare le piantine dalle quali prenderò le foglie che userò per estrarre il DNA. Da qui si sviluppa poi il lavoro di analisi».
Su che altri progetti stai lavorando?
«Diversi progetti sono conclusi, ma speriamo che abbiano delle ripartenze. Poco tempo fa ho lavorato sulla margherita, per la valorizzazione di quella da taglio, una coltura che si usava un tempo in Liguria ed è tornata di nuovo “di moda”. Siamo stati impegnati in una caratterizzazione varietale delle margherite, studiando quindi il DNA per caratterizzare tutti i tipi di margherita che erano coltivati qui nel ponente. Abbiamo usato lo strumento molecolare, cioè i marcatori molecolari, che identificano le singole cultivar e varietà secondo un profilo genetico ben definito».
E poi?
«Ho lavorato anche sull’anemone, uno dei miei progetti preferiti. Mi sono occupata delle colture delle antere dell’anemone per ottenere delle linee pure di questo fiore, utilizzate poi negli incroci, per avere varietà di pregio. Si tratta di una tecnica di biotecnologie vegetali applicata a una pianta floricola in questo caso».
Che linee di ricerca si apriranno in futuro?
«Tra i progetti nuovi in partenza ci occuperemo del miglioramento genetico di piante, sempre con il genome editing. Saranno piante prodotte con le cosiddette TEA, tecniche di evoluzione assistita. Sono progettualità che potrebbero rientrare nel decreto siccità, che nasce per l’esigenza di lavorare su piante che siano resistenti ai cambiamenti climatici, più resilienti ma allo stesso tempo sostenibili: non devono essere usati fitofarmaci né tecniche aggressive, la resistenza deve essere una caratteristica interna delle piante».
Un tema più che attuale
«Assolutamente: bisogna partire proprio da qui per fronteggiare il cambiamento climatico, da nuove varietà e piante resistenti. Le cultivar di particolare pregio vanno rese resistenti ai cambiamenti climatici che, oltre a problemi come la siccità, portano anche nuovi parassiti, o rendono le piante, magari già stressate dal caldo, ancora più suscettibili di attacchi da parte di malattie già presenti. Proprio come gli umani: se siamo già stressati, è più facile che ci ammaliamo».
Fuori dai laboratori, c’è una pianta particolare a cui ti piace dedicarti?
«Ho un giardino con diverse piante, coltivo volentieri l’ortensia ma mi piace sperimentare anche in giardino con nuove coltivazioni: è una passione!»
Intervista di Alessandra Chiappori.