Perfetti per vasi e giardini sono i papaveri ornamentali, di cui esistono ibridi di diversi colori e caratteristiche. Tra i più originali troviamo quelli asiatici provenienti dal Caucaso, dalla Turchia e dall’Iran: il Papaver orientale, erbacea perenne, ha lunghi steli e fiori che riescono a raggiungere i 15 cm di diametro. Molto curioso è anche il Papavero blu dell’Himalaya (Meconopsis betonicifolia), il fiore nazionale del Bhutan.

Il Papavero d’Islanda (Papaver nudicaule) ha, nonostante il nome che riporta al grande Nord, un rapporto privilegiato con i coltivatori della Riviera. Storicamente legato alla floricoltura ligure, cresce bene in aiuole e giardini e si fa addomesticare anche in vaso. Regala un arcobaleno di gialli, arancio, rosa e bianchi con steli alti fino a 40 cm che si ottengono per semina e, pur perdendo velocemente i fiori formati dai classici 4 petali, è in grado di produrre centinaia di altri fiori in successione. Strategie della natura, che assicura in questo modo la possibilità di impollinazione a un fiore dalla breve vita.

Attenzione, invece, al Papaver somniferum, conosciuto anche come papavero da oppio: coltivarlo in Italia è proibito, la pianta infatti, originaria dell’Asia, dove cresce spontanea con i suoi bellissimi fiori viola o bianchi, contiene un “latte” da cui si estraggono gli alcaloidi che si ritrovano nell’oppio e nella morfina.

Già noto nell’antichità proprio per le sue proprietà sedative, nel mondo greco il papavero era associato alla storia di Demetra, dea dei raccolti, la quale non solo preparava infusi di Papaver somniferum per consolarsi della perdita della figlia Proserpina, ma trasformò Mecone, di cui era innamorata, in un papavero, evitandogli la morte umana.

Sappiamo che si coltivavano papaveri già nel mondo mesopotamico, 7000 anni fa, ma anche gli antichi egizi conoscevano questa pianta: i suoi semi sono stati ritrovati tra i corredi funebri. Incerta l’etimologia: il latino papaver sembra arrivare dall’arabo papámbele o dal sanscrito papavara, col significato di “succo pernicioso”. Un’altra interpretazione si rifà al nome papa, collegandolo all’abitudine antica di mettere i semi nella pappa dei bambini per aiutarne il sonno.

Diffuso in tutto il mondo, il papavero ha richiami in tante culture. Se nell’antica Grecia era simbolo del sonno, tanto che l’iconografia di Morfeo, divinità del mondo onirico, lo vede rappresentato proprio con dei papaveri, il mondo latino, più concreto, lo associava alla dea Cerere, alter ego romano di Demetra, per la sua presenza benaugurale nei campi di grano. Deriverebbe dall’età latina anche la metafora con cui si associano gli “alti papaveri” alle persone di potere. L’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo, utilizzò infatti i fiori per suggerire al figlio Sesto Tarquinio come assoggettare definitivamente la città di Gabi: spezzò i papaveri più alti davanti a sé, e il figlio provvide a uccidere gli alti funzionari della città, piegandola.

“Keshi” significa fiori di papavero in Giappone, un paese dove il fiore compare nelle stampe dei kimono tradizionali per simboleggiare amore e passione. Diverso il significato in Cina, dove il papavero indica successo, lusso, bellezza. Per la cultura buddista è invece un simbolo di fede e devozione: un fiore fragile, ma che al contempo ricorda la capacità di non cedere alle tentazioni. Dall’oriente arriva anche la storia secondo cui Gengis Khān soleva spargere semi di papavero sui campi di battaglia per omaggiare i caduti.

Nell’Europa medievale, il colore rosso ne decretò l’accostamento al sacrificio di Cristo, una simbologia che solca la Manica e arriva nel Regno Unito della Prima guerra mondiale sui versi del medico e militare John McCrae che, nella sua In Flanders Fields, immagina distese di papaveri rossi sopra i campi di morte della Grande Guerra. Da qui, l’usanza di associare i papaveri al Remembrance Day, l’11 novembre, quando il Commonwealth ricorda i soldati morti nel conflitto che aprì sanguinosamente il Novecento.

Ancora una volta il rosso-sangue del sacrificio richiama gli ideali e fa del papavero il perfetto simbolo della Resistenza in un’associazione tutta italiana che lo vede protagonista il 25 aprile, giorno della Liberazione. Fiore spontaneo, e come tale “libero”, il papavero è al contempo tenace, tanto da riuscire a portare bellezza in mezzo ai campi e ai margini delle strade. Ecco perché è stato scelto come “fiore del partigiano morto per la libertà”. Ad aprile, del resto, i primi papaveri spontanei e quelli ornamentali occhieggiano qua e là con i loro petali ad acquarello: inondati di luce, sussurrano tante storie da ascoltare godendosi il sole dell’estate in arrivo.

Articolo della nostra collaboratrice Alessandra Chiappori.

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