Siamo stati nei laboratori di patologia vegetale dell’IRF di Sanremo per scoprire come si individuano i virus, a quali problemi si legano e quali soluzioni sono possibili per agevolare il lavoro delle aziende. Ad accompagnarci in questo percorso tra piante indicatrici, insetti vettori e tecniche colturali, Endrio Derin, con cui abbiamo fatto qualche chiacchiera.
Di cosa si occupa all’IRF?
«Ho iniziato a lavorare qui nel 1987 per il Servizio di Virologia, poi confluito nel Laboratorio di Patologia Vegetale. Arrivavo dalla scuola di agraria di Sanremo e avevo lavorato in vivai privati interessandomi sia di fitopatologia sia di gestione delle risorse umane. Dal 1987 mi sono sempre occupato principalmente di virus».
Com’è una giornata tipo in laboratorio?
«Abbastanza varia, il che è positivo e mi piace molto: è un lavoro poco ripetitivo, cambia a seconda delle stagioni o delle giornate, si può passare dai lavori di laboratorio, soprattutto test e controlli per i virus – tra questi si utilizzano molto i test immunoenzimatici, ma anche quelli su piante indicatrici – al lavoro sulle piante vere o al contatto con l’esterno, con sopralluoghi e prove svolti nelle aziende. Nel corso del tempo si sono alternati periodi di prove esterne o interne, perché l’attività è variabile: la costante sono sempre i test di laboratorio, si tratta del metodo primario che abbiamo per controllare il materiale vegetale e permettere alle aziende di averne di qualità».
Quando parla di piante indicatrici, cosa intende?
«Si può fare diagnostica virale a diversi livelli. Il primo è quello di laboratorio, dove si fanno diagnosi immunochimiche. C’è però un secondo livello che si usa soprattutto in modo programmato e preventivo con gli ibridatori e i vivaisti, e si tratta dei test su alcune piante che sono state individuate in natura e sono molto sensibili a specifici virus. Si può dunque controllarne la presenza nei campioni vegetali che ci interessano, estraendo della linfa e inoculandola per strofinamento sulle piante indicatrici. Se è presente il virus, in pochi giorni questa pianta produrrà dei sintomi caratteristici che permetteranno di individuare una virosi».
Quale metodo si preferisce?
«Sono metodi alternativi e hanno entrambi vantaggi e svantaggi. Vanno bene usati insieme: i protocolli sanitari e quelli internazionali prevedono l’alternanza di test, in genere si fanno due controlli l’anno, uno di tipo immunoenzimatico, l’altro sulla pianta indicatrice. Per sommare i vantaggi di entrambi».
Qual è, per esempio, una pianta indicatrice?
«Si usano ad esempio le petunie, i Chenopodium amaranticolor, i Chenopodium quinoa e le Nicotiana tabacum, sensibili a molti virus. Per i garofani, sui quali facciamo tantissimo lavoro, viene usata la Saponaria vaccaria, cultivar pink beauty, che cresce anche nei prati, ed è molto suscettibile ai principali virus del garofano, quindi adatta per la diagnosi».
Oltre al garofano, le analisi dell’IRF su quali piante si concentrano?
«La virologia degli anni Novanta si è concentrata sul garofano: abbiamo dovuto applicare schemi di certificazione nuovi e quindi abbiamo lavorato con le aziende ibridatrici per inquadrare la loro attività a seconda dei protocolli fitosanitari internazionali. Gli anni Duemila sono stati gli anni del ranuncolo: essendo più coltivato, sono cresciuti problemi di coltivazione e patologie. Abbiamo scoperto nuovi virus e messo a punto metodi diagnostici in collaborazione con altri enti, permettendo alle aziende di controllare i virus. La margherita è invece una costante dell’IRF, siamo sempre stati produttori di nuove varietà».
Ultimamente su cosa state lavorando?
«Le ultime collaborazioni riguardano il ranuncolo, e poi ci siamo dedicati a progetti sulle piante grasse e sulla margherita. Il discorso sulle patologie da virus ruota intorno alla prevenzione, non esistono cure, quindi lavoriamo molto con i vivaisti, a monte, e con molte tipologie di piante. Negli ultimi anni sono state introdotte sul mercato molte specie e ogni volta sono usciti problemi nuovi».
Come procede questo tipo di lavoro?
«È un po’ un dietro le quinte, si svolge con vivaisti e ibridatori, che sono i primi anelli della catena di produzione del materiale vegetale, che deve essere sano. Quando si arriva in campo, dal produttore finale, se il materiale non è sano basta un attimo e le infezioni dilagano, causando grossi problemi».
Cosa si fa in questi casi?
«Come Laboratorio di Patologia Vegetale siamo disponibili per tutti i coltivatori che hanno problemi sulle piante, in modo che possano individuare precocemente le malattie, anche sulle specie vegetali introdotte da poco e nuove. È importante: solo così i patogeni virali possono essere confinati e bloccati prima che si diffondano sul territorio».
Quali sono le patologie virali più diffuse?
«Il problema più grosso è che i virus stanno aumentando moltissimo in numero e patogenicità, dando problemi. Il virus principale è sicuramente il Tomato Spotted Wilt Virus (TSWV), il virus dell’avvizzimento maculato del pomodoro, che colpisce sia colture ornamentali sia floricole, facendo di ogni pianta un serbatoio di virus per l’altra. Viene trasmesso dal tripide, un insetto, avvantaggiato dal cambiamento climatico che oggi gli permette di essere sempre presente, con un dilagare di problemi».
Che influenza ha sulle patologie delle piante il cambiamento climatico?
«Con l’aumento delle temperature gli insetti, che sono una delle cause principali di trasmissione dei virus, sono aumentati tantissimo in tutte le stagioni dell’anno. Il Tomato Spotted Wilt Virus (TSWV) era presente in Riviera di Ponente, è esploso negli anni Ottanta, ma prima che ci fosse l’insetto vettore non era un grosso problema. Poi, attraverso importazioni e commerci, questo insetto è arrivato in Riviera ed il virus si è stato diffuso rapidamente in moltissime specie vegetali. Il cambiamento climatico è uno dei fattori che insieme alla globalizzazione dei commerci ha aumentato in modo esponenziale la diffusione di patogeni nel mondo».
Ora com’è la situazione?
«Una volta che il tripide si è ambientato, con le temperature in costante aumento, è diventato incontenibile. Negli anni Novanta non esisteva quasi in inverno, oggi è attivo in tutte le stagioni. Abbiamo portato avanti diversi progetti con le aziende facendo campi di prova per mettere a punto soprattutto tecniche agronomiche che possano aiutare a limitare l’attività degli insetti».
Per esempio?
«L’uso appropriato di reti anti insetto, o ancora meglio di reti ombreggianti, che non fermano l’aria e non creano aumento di umidità, con conseguenti problemi fungini. Abbiamo lavorato molto sugli afidi, che sono uno dei principali vettori dei virus. Ancora, sulle stagioni di coltivazione, per cercare di sfalsare i cicli rispetto a quelli dell’insetto. I fitofarmaci di sintesi sono sempre meno ammessi all’uso e quindi abbiamo sempre lavorato molto sulle tecniche agronomiche».
C’è un problema in particolare che riguarda questo specifico territorio?
«Abbiamo molti microclimi diversi in questa zona. Abbiamo fatto prove in aziende diverse, dal mare alla mezza collina, per valutare diversi parametri, e ci siamo resi conto che la maggioranza delle pratiche agronomiche andrebbe studiata in modo personalizzato azienda per azienda, a seconda del microclima, dell’esposizione, del tipo di coltivazione effettuata… Qui risiede la difficoltà, si possono fare pochi discorsi generali».
Com’è lavorare all’IRF?
«L’esperienza è positiva, è interessante lavorare con i colleghi del Laboratorio di Patologia Vegetale, specializzati su funghi, batteri, insetti, e poi ci sono i colleghi specializzati in altri campi tra cui miglioramento genetico e tecniche colturali e le colture in vitro. C’è un continuo scambio di informazioni su innovazione e tecniche, ed è un accrescimento che tocca sempre nuovi temi di interesse, tra piante, specie vegetali, e tecniche. Non è un lavoro ripetitivo o noioso».
Ha una pianta preferita?
«Sono nato e cresciuto con i garofani, tra le aziende e i vivai. Oggi purtroppo a Sanremo non si vedono più i campi di garofani coltivati come una volta, però rimane sempre la mia passione».
Intervista di Alessandra Chiappori.